Stampare in 3D con gli scarti degli oggetti già utilizzati, in modo da ridurre al minimo i consumi e potersi costruire in tempo reale e su misura quello che serve, è il nuovo progetto della Nasa iniziato nel 2018.
Se i rifiuti sono già un problema sulla terra cosa dovrebbero dire gli astronauti che vivono nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS) che vola più o meno a 400 chilometri sopra le nostre teste? Questi, infatti, accumulano periodicamente fino a 2 tonnellate di spazzatura a bordo, per un totale di 12 tonnellate all’anno, che rispediscono ciclicamente a Terra con i cargo automatici degli approvvigionamenti.
Per cercare di risolvere questo problema la Nasa ha pensato a qualcosa che potesse permettere il riciclo di alcuni rifiuti, soprattutto quelli in plastica, anche nello spazio. Per questo motivo è stato messo a disposizione degli astronauti Refabricator, un nuovo dispositivo simile ad una stampante 3D capace di riciclare e riutilizzare più volte la plastica delle buste, dei contenitori, delle stoviglie per il cibo e altri oggetti polimerici per crearne nuovi di zecca di qualsiasi forma.
Non era la prima volta che si cercava di portare una stampante 3D nello spazio; il primo tentativo fu fatto nel 1999 quando l’agenzia aveva messo una stampante 3D sulla cosiddetta Vomit Comet che fece un volo parabolico di prova nel quale produsse 25 secondi di assenza di gravità, per verificare come il processo di stampa funzionasse in quelle condizioni.
Da quella data, la stampa 3D ha fatto passi da gigante come ad esempio la stampante prodotta per ESA attraverso il progetto MELT (Manufacturing of Experimental Layer Technology) da un consorzio guidato da Sonaca Space GmbH insieme a BeeVeryCreative. Questa stampante è in grado di operare da qualsiasi orientamento, capovolta o appoggiata su un fianco, per poi poter operare perfettamente anche in condizioni di microgravità a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, o in altri contesti aerospaziali. La stampante MELT può stampare un’ampia varietà di materiali termoplastici dall’ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene), fino a materiali di ingegneria ad alto punto di fusione come PEEK (polieter ether chetone). Questa stampante potrebbe essere utilizzata per produrre parti su richiesta per la riparazione e il mantenimento di un habitat orbitale di lunga durata.
Il Refabricator, a sua volta, ha le dimensioni di un mini frigorifero e, invece di polverizzare la plastica rendendo il processo pericoloso per il rischio di propagazione delle polveri per la stazione, scioglie ogni componente stampandone uno nuovo con lo stesso materiale. Attualmente è il primo macchinario che combina riciclo e stampa 3D e lavora con la polietereimmide (Ultem) un tipo di plastica molto resistente. Questo macchinario permetterà di risparmiare molto denaro nel lungo periodo visto il costo di spedizione dei materiali nello spazio di oltre 18.000 euro a carico.
Lo scopo finale della Nasa non è solo quello di avere un macchinario in grado di riciclare i rifiuti nella stazione spaziale ma anche quello di riuscire a coprire distanze maggiori come il ritorno sulla Luna e le spedizioni su Marte senza il bisogno di lunghi tempi di attesa per rifornimenti da terra.
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