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Bioplastica (pt 2)

Updated: Jul 7, 2020

Dai vantaggi alle spesso ignorate criticità.

Ora che conosciamo meglio i concetti di bioplasticità e biodegradabilità (di cui abbiamo parlato nel precedente articolo) ci domandiamo: può la bioplastica davvero aiutare a risolvere il problema dell’inquinamento del pianeta?



Possiamo dire che poiché le bioplastiche sono materiali derivanti da polimeri a base vegetale ma alcune sono biodegradabili, altre sono compostabili ed altre ancora sono non biodegradabili, ciò significa che non tutte le bioplastiche offrono la possibilità di recuperare altri materiali nella loro fase di fine vita, e quindi è un po' semplicistico affermare che basta sostituire tutta la plastica tradizionale con bioplastica per risolvere il problema dell’inquinamento del pianeta.

Notiamo invece che da quando la plastica è entrata nell’occhio del ciclone tutti i termini preceduti da “bio” hanno assunto in modo automatico una valenza positiva ed il marketing aziendale a livello globale si è adeguato a questo nuovo sentire nella scelta dei materiali per vecchi e nuovi prodotti/imballaggi, in modo da sfruttare il potenziale vantaggio competitivo. L’impressione è che si sia voluto “cogliere l’attimo” senza una valutazione del ciclo di vita delle nuove proposte rispetto alle precedenti che vanno a rimpiazzare, e soprattutto senza voler entrare nel merito di quali sarebbero state le conseguenze del loro fine vita sui sistemi esistenti di avvio a riciclo dei vari flussi di rifiuti. Come se passare semplicemente a stoviglie in bioplastica fosse la soluzione del problema. Tra l’altro è curioso osservare come la grande distribuzione alimentare abbia ingaggiato da circa 10 anni a questa parte una “guerra santa” contro la plastica, andando poi in realtà ad intraprendere una politica commerciale contraria, volta cioè ad aumentare progressivamente l’offerta dei prodotti freschi pronti al consumo con un conseguente aumento nell’utilizzo di packaging di qualunque tipo, bio e non. Altro equivoco lo ha fornito la comunicazione infatti, da quando sono stati introdotti i sacchetti biodegradabili/compostabili, abbiamo spesso visto che articoli o servizi che trattano di inquinamento da plastica dei mari, o delle conseguenze sulla fauna marina, finiscano per parlare della legge che ha vietato i sacchetti di plastica come un esempio di best practise europea. Ugualmente, in qualsiasi iniziativa in cui si sono visti sostituire i manufatti in plastica con opzioni compostabili, è stato fatto riferimento al problema della plastica in mare. Una sorta di presunta relazione diretta tra l’utilizzo di manufatti compostabili e la salvaguardia dei mari. Viceversa nelle occasioni in cui sono state riportate notizie di avvenute sostituzioni di manufatti monouso con versioni riutilizzabili (purtroppo ancora molto rare) questa associazione non si è mai esplicitata. Ne deduciamo che per capire come meglio affrontare l’emergenza, evitando confusione ed interpretazioni sbagliate, bisognerebbe evitare accostamenti tra temi come la salvaguardia dei mari e dei fiumi dalla minaccia della plastica e l’utilizzo di materiali compostabili. Possiamo dire perlomeno che l’approccio non è corretto.

E’ pur vero che per moltissimi prodotti in plastica tradizionale esiste una valida alternativa in bioplastica biodegradabile a cui vanno riconosciuti questi vantaggi:


  • impatto ambientale ridotto (dati i tempi di degradazione decisamente più rapidi rispetto alla plastica tradizionale)

  • maggior facilità di riciclaggio (le bioplastiche biodegradabili possono essere depositate in discarica visti i tempi rapidi di degradazione; una modalità di smaltimento sicuramente più vantaggiosa economicamente rispetto alla termovalorizzazione perché minori sono i processi richiesti).

Ma anche le bioplastiche hanno dei punti critici costituiti da quelli che apparentemente sembrano altri punti di forza, ovvero: biodegradabilità non significa sempre ecosostenibilità, in quanto bisogna considerare le risorse utilizzate per produrre le bioplastiche, in particolare suolo ed acqua, ad oggi due risorse fondamentali e molto precarie.

Andiamo con ordine: la maggior parte dei prodotti biodegradabili sostituti della plastica derivano da scarti alimentari o da prodotti agricoli lavorati, come mais o canna da zucchero.


Nel primo caso non c’è nulla da dire. Nel secondo caso, invece, ci sono da fare alcune considerazioni. Infatti, se questi prodotti non ledono l’ambiente in termini di smaltimento potrebbero danneggiarlo in termini di produzione. Facciamo un esempio: è stato calcolato che ad oggi per produrre 1kg di PET con cui si producono 25 bottiglie da 1.5 litri sono necessari circa 2kg di petrolio e 17,5 litri d’acqua. Per ottenere 1kg di PLA servono 2,5kg di mais e 2250 litri di acqua per produrre le stesse 25 bottiglie in bioplastica.

Quindi la produzione massiccia di bioplastiche non sarebbe a “costo zero” per l’ambiente e produrrebbe alcuni seri problemi come l’aumento di acqua utilizzata per la produzione e aumento del suolo destinato all’agricoltura a discapito delle zone equatoriali già duramente colpite dalla deforestazione.

C’è anche da considerare il rischio che se le bioplastiche sostituissero tutta la plastica tradizionale lo sfruttamento delle coltivazioni come il mais, ad esempio, potrebbe ridurre la produzione agricola di alimenti rischiando di compromettere da disponibilità di cibo.

Quindi, al momento, possiamo dire che nessuna delle bioplastiche presenti in commercio soddisfi appieno il requisito di totale ecosostenibilità. Come possiamo anche dire che le campagne di “demonizzazione” della plastica tradizionale siano un modo parziale e non corretto di affrontare il problema dell’inquinamento planetario da plastica. Va anche detto che non c’è bisogno di ribadire l’importanza della plastica tradizionale a livello commerciale ed industriale. E’ praticamente impossibile elencare tutti gli usi che ne vengono fatti e al momento è pura utopia pensare ad un mondo completamente senza plastica.

Dunque, plastica o bioplastica: siamo di fronte a due competitor che hanno l’interesse a mantenere o conquistare il mercato dei prodotti monouso e non solo, supportati da studi e analisi che sono legittimamente di parte. La certezza è che la politica deve fare il suo dovere andando oltre al mero ruolo di arbitro tra i diversi interessi economici. Se vogliamo avere una minima chance per mitigare il riscaldamento climatico, liberare mari e fiumi da inquinamento da plastiche e microplastiche, salvaguardare la salute delle specie animali e nostra servono politiche ambiziose di decarbonizzazione dell’economia e che contemporaneamente ci inducano verso radicali cambiamenti nell’attuale stile di vita e di consumo “sprecone” a cui siamo abituati. L’unica soluzione a lungo termine che possa soddisfare tutti gli attori di questo cambiamento epocale sembra quella di ridurre i rifiuti sia di plastica che bioplastica, riciclando e riutilizzando di più. Sfida che imprese, amministrazioni pubbliche e cittadini devono affrontare insieme, in un’ottica di economia circolare.


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